Il teatro “Umberto Giordano” di Foggia

Fra un mese il Teatro “Umberto Giordano” di Foggia compirà 196 anni.

Il 10 maggio 1828 fu aperto al pubblico il Real Teatro Ferdinando, con la rappresentazione del melodramma “La sposa fedele” del compositore catanese Giovani Pacini.

Con l’Unità d’Italia fu chiamato “Teatro Dauno” e, nel 1928, in occasione del centenario dalla sua inaugurazione “Teatro Giordano”.
Era il Teatro più antico del Regno delle Due Sicilie dopo il San Carlo di Napoli.

Per il Teatro vi furono due progetti. Nel 1818 quello di Giuliano de Fazio che prevedeva la costruzione dove è tuttora, l’altro di Luigi Oberty che lo voleva in prossimità del Largo Gesù e Maria. Ed è proprio in quest’ultimo sito che iniziarono i lavori. Ma improvvisamente, nel giro di qualche settimana i lavori vennero interrotti per le proteste dei foggiani perché ritenuto troppo lontano. Il Giornale Patrio nel commentare lo spostamento nel sito dov’è tuttora, parlò di gioia incontenibile della popolazione per la scelta di un luogo centrale e comodo, non più distante dalla città.<br>La struttura era dotata di un porticato sorretto da sei colonne doriche, tre finestroni e un timpano al centro del quale faceva e fa tuttora bella mostra lo stemma cittadino.
Nel mese di aprile del 1828 si procedette all’assegnazione dei palchi mediante il “Bussolo “, un’assegnazione “mista” cioè a sorte e al miglior offerente.
Era un’operazione che dava diritto a entrare in possesso di un palco a pagamento per uno o più anni con la possibilità di ammobiliarlo e abbellirlo a proprio gusto e frequentarlo come un piccolo salotto.
Il palco più ambito, riferisce lo storico Antonio Vitulli nella storia dei teatri di Foggia XVIII e XIX secolo, era quello che oggi reca il numero 8 della seconda fila e cioè quello alla destra del Palco Reale, il palco di maggior prestigio, per il possesso del quale si scatenava una vera battaglia. Bisognava ottenerlo a suon di quattrini perché quel palco rappresentava lo “Status Symbol” della raggiunta potenza politica, economica e sociale.

Nel 1830 un poeta foggiano, Raffaele Rio, in un poemetto eroico-comico descrisse il Teatro definendolo maestoso e bello con il vestibolo pieno di amanti…….
“Chi ognuno aspetta la sua Dulcinea
  Chi si toglieva e si metteva i guanti
  Chi la cravatta e il busto si stringea,
  Chi il crine con le dita si arruffava e
  specchiandosi all’ombra si attilllava…

Ma quando apparvero nel 1836 profonde incrinature su alcune colonne con il pericolo di crollo del cornicione, si intervenne drasticamente con l’eliminazione delle sei colonne che furono inglobate in un porticato con tre fornici.
Il 21 aprile 1837 il Teatro riaprì con la nuova facciata i cui tratti richiamano non poco il portico della Scala realizzato da Giuseppe Piermarini.
Nella stagione 1843/1844 la Compagnia Stabile del San Carlino, per non rimanere inattiva a causa dei lavori di restauro al proprio Teatro di Napoli, accettò un contratto a Foggia per trenta rappresentazioni con un repertorio di altissimo livello per un pubblico dal palato fine.

Piace riportare una sintesi di ciò che scrisse nel 1845 l’Abate Pier Paolo Parzanese, docente di teologia, eloquenza e grammatica:
“È un teatro magnifico. Un bel porticato ne ornava la facciata ma poiché la fabbrica minacciava di fondersi alle colonne si sostituiscono i fornici i quali se hanno provveduto al bisogno hanno pure guastato quella bella architettura di prima. I foggiani sono persone di natura piena di armonia e mente capacissima di amare il bello. Venite a Foggia e udirete ragazzacci e plebe canticchiarvi per le strade romanze e ariette, con passione e melodia, e se vi piacesse udireste un omaccio basso e tarchiato che, senza ragione di lettere e di musica, ha domato il suo mandolino che quando lo tocca vi rapisce”.

Dal 1829 al 1841 il “Ridotto” venne arricchito con 4 statue in marmo, ora sistemate nella sala Fedora. Raffigurano i regnanti Francesco I e Ferdinando II con le rispettive seconde mogli Maria Isabella e Maria Teresa.
La statua della regina Isabella è opera dello scultore carrarese Giovanni Tacca mentre le altre tre sono opere dello scultore di ben altro livello, Tito Angelini.
Per il trasporto della statua di Ferdinando II da Napoli a Foggia fu incaricato per una spesa di 142 ducati il trainiere foggiano Giovanni Ricci che dovette costruire un apposito carro e impegnare molti muli specie nella salita di Dentecane.
A Foggia la caduta del regime borbonico nel 1860 avvenne in maniera tranquilla.
Il Teatro non poteva però continuare a chiamarsi Real Ferdinando, Sovrano destituito dai Savoia, e in attesa di una decisione mai adottata in quegli anni, verrà chiamato con il provvisorio nome di Teatro Dauno.
Con l’Unità d’Italia il Teatro perde prestigio e vedrà decadere i suoi spettacoli a un livello scadente.
La città di Foggia che aveva avuto la secolare dipendenza da Napoli perde la sua capitale, punto di costante riferimento storico, economico e amministrativo.
Perde la metropoli con la quale amava identificarsi nella lingua, nella cultura e nella frequentazione del suo ceto nobiliare e borghese e coerentemente anche il tono e la qualità della vita scadono. Perde in maniera rapida e immediata quel primato, quel ruolo particolarissimo di cui godeva e non vedrà più Sovrani in visita con quella frequenza di un tempo e i Prefetti non saranno più all’altezza di “Intonti” o ” Santangelo” perché si dimostreranno tutti mediocri figure di burocrati.
Tale caduta colpì ovviamente anche la vita teatrale soprattutto perché i piemontesi ritennero che il Teatro doveva gestirsi in maniera autonoma ed essere autosufficiente e di conseguenza i repertori scesero a livelli molto bassi.
In data 23 agosto 1928 in occasione del Centenario dell’ inaugurazione, su delibera della civica amministrazione, il Teatro Dauno cambierà nome e verrà intitolato al grande compositore foggiano Umberto Giordano.
Dalla fine del secondo conflitto mondiale e fino agli anni ’50 il Teatro, che era stato vanto e orgoglio di una raggiunta dignità cittadina, subisce il peggior periodo della sua storia fino a toccare, con un progressivo decadimento, il fondo perché viene utilizzato come cinema di infimo ordine, con spettacoli scadenti e di pessimo livello.
Alla metà degli anni Sessanta e precisamente il 29 aprile del 1966, il Presidente del Consiglio Aldo Moro inaugura il Giordano che a seguito dei lavori di restauro torna all’antico splendore e per di più nella disponibilità del Comune, dopo il lungo e degradante periodo di gestione privata.
Rinasce così a nuova vita e torna ad ospitare artisti come Anna Magnani, Salvo Randone, Nino Taranto, Walter Chiari, Paolo Panelli, Gino Bramieri, Raf Vallone, Giorgio Albertazzi, Anna Proclemer, l’ Orchestra Sinfonica Rai, in più stagioni la compagnia dei fratelli De Filippo, Orso Maria Guerrini, Flavio Bucci e per la lirica Beniamino Gigli tenore di fama internazionale, Mario Del Monaco uno dei tenori più applauditi e idolatrati come testimoniano le deliranti recensioni raccolte nei Teatri di tutto il mondo, e tanti altri illustri personaggi.
Il 10 dicembre 2016, trascorsi oltre 8 anni di inattività, dopo lunghi travagliati e radicali lavori di restauro, il Teatro ha riaperto finalmente le porte anche se oggi l’esterno e l’interno della sua costruzione conservano nulla della maestosa semplicità neoclassica originaria.
A inaugurarlo è stata la magia della musica dell’orchestra giovanile di Luigi Cherubini diretta dal maestro Riccardo Muti.