#ROBESERIE – Quando la spettacolarizzazione distorce la realtà, la recensione di “Qui non è Hollywood”

Quando mi sono approcciato alla visione di “Qui non è Hollywood” su Disney+ mi sono subito interrogato su quanto l’attenzione mediatica sia stata un fattore nella tragica storia di Sarah Scazzi. Se l’obiettivo era denunciare questo aspetto – molto evidenziato nella serie di Pippo Mezzapesa – il risultato è stato quello di accendere ulteriormente i riflettori su uno dei primi casi di cronaca completamente “mediatizzati” nella narrazione del nostro paese. E questo pare quasi un corto circuito. Menomale che la serie aggiunge qualcosa in più, non è soltanto un asettico ripasso. Sono tanti gli interrogativi che, a distanza di anni, riemergono dalla storia di Avetrana e che restano ancora irrisolti, nonostante sentenze e ricostruzioni di ogni tipo. E su questo la serie scandaglia in un modo che, tutto sommato, ha colpito gli spettatori (ndr. 82% di recensioni positive).

LA TRAMA

“Qui non è Hollywood – Avetrana” è una serie che mescola fiction e realtà, prendendo spunto dal famoso caso di cronaca nera che ha sconvolto l’Italia: l’omicidio di Sarah Scazzi ad Avetrana. La serie racconta di come la piccola comunità pugliese reagisca all’arrivo dei media nazionali, rappresentando in modo critico e talvolta grottesco il modo in cui la televisione ha trattato il caso. La protagonista è una giovane e ambiziosa giornalista che, con il suo team, cerca di fare carriera sfruttando il caso di Avetrana per ottenere visibilità. La serie esplora la frattura tra la realtà e la spettacolarizzazione dei fatti, mettendo in evidenza il contrasto tra la drammaticità di un crimine efferato e la banalizzazione che avviene quando questo viene trattato come un “prodotto”. La trama, al di là della storia della giornalista, è totalmente incentrata su fatti appurati dalla ricostruzione giudiziaria.

GLI ASPETTI POSITIVI

Uno degli aspetti più apprezzabili della serie è la sua capacità di offrire una critica tagliente sulla spettacolarizzazione dei fatti di cronaca e sul sensazionalismo dei media. La serie non si limita a raccontare il crimine di Avetrana, ma analizza in modo provocatorio come i media trattino tragedie reali, distorcendo la realtà e dirottando la narrazione. Altro aspetto degno di nota è l’interpretazione degli attori protagonisti. Alcuni di questi sono stati capaci di entrare veramente nel personaggio, non soltanto per l’ottima resa della somiglianza fisica. Altro merito è quel di far conoscere i fatti, scevri da ricostruzioni parziali che, all’epoca dell’accaduto, purtroppo presero il sopravvento anche sull’esito delle indagini.

GLI ASPETTI NEGATIVI

La serie non sempre trova un equilibrio ideale tra il tono satirico e quello drammatico. In alcuni momenti, il tentativo di usare l’umorismo nero per alleggerire temi pesanti può risultare inopportuno o forzato. Questo miscuglio di toni a volte può confondere lo spettatore, che si trova a dover alternare tra il ridicolo e il tragico senza una transizione fluida, creando una sensazione di discontinuità. Inoltre, il ritmo della serie può sembrare irregolare, con episodi che si dilungano troppo su scenari secondari, rallentando la narrazione. Nonostante l’intento critico nei confronti dei media e della spettacolarizzazione, alcuni personaggi rischiano di risultare troppo stereotipati.

COSA RIMANE DI QUESTA SERIE

Sicuramente la serie apre uno spazio di riflessione anche su un altro tema, non di secondo piano: quello della condizione giovanile nei piccoli centri di periferia. La mancanza di attrazioni, di stimoli e di amicizie porta, talvolta, a trovare dei canali di sfogo che sono tutt’altro che sani. Il fatto di cronaca è avvenuto agli albori dell’epoca dei social che hanno poi estremizzato questo concetto, attraverso il paragone con altri contesti più accattivanti. La piccola Sarah risulta essere stata vittima di mancanze, di gelosie e di negazioni, in un contesto ristretto e arretrato che non ha saputo offrirle quello che lei cercava: un sano svago da adolescente.

LA CITAZIONE

Giornalista: “Sai qual è la cosa che più mi fa rabbia di questo mestiere? Che alla fine, la gente ricorderà solo la nostra versione dei fatti. La realtà non conta, conta la narrazione.”

Cameraman: “E non è questo che vogliamo? Se nessuno ricorda la verità, possiamo riscrivere tutto, a modo nostro.”

Giornalista: “Sì, ma non è questo che dovrebbe accadere. Dovremmo essere noi a raccontare la verità, non a crearla.”

Cameraman: “La verità è solo un concetto. Qui contano le emozioni, le reazioni, i colpi di scena. La verità? La verità è solo un altro dettaglio nel nostro show.”

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