Ciao Totò, fulgida stella delle nostre notti magiche.
A Roma è il 9 giugno. La nazionale di Vicini, di Baresi, Baggio e Vialli, affronta l’Austria in un Olimpico tirato a lucido e gremito in ogni ordine di posto. Tutta l’Italia è davanti al televisore. I minuti scorrono veloci ma il risultato non si sblocca. Al 75º Vicini richiama Carnevale, fresco campione d’Italia col Napoli, e butta nella mischia Salvatore Schillaci, da un anno alla Juventus via Messina. Qualcuno rimane perplesso. Una manciata di minuti e Vialli, dal fondo, crossa in area sulla testa dell’attaccante juventino. Gol e vittoria liberatoria. Le telecamere vanno sul giocatore palermitano. Un urlo e due occhi spiritati, aperti, quasi fuori dalle orbite, entusiasti. Primo piano che va in tutto il mondo. Finisce Salvatore e nasce Totò, e con lui partono le indimenticabili “Notti Magiche”, cantate dalla Nannini e da Edoardo Bennato, che finiranno tristemente solo con un rigore di Dieguito nel “suo” San Paolo [oggi Diego Armando Maradona ndr] alle porte della finale. Tristemente sì, ma non per Totò, che diventa il simbolo di quel mondiale, concluso al terzo posto, ma soprattutto il capocannoniere con 6 reti, e l’indiscusso protagonista di quell’edizione.
Come Bartali al Tour del 48’ – vincendolo – evitò una possibile guerra civile, il siciliano Schillaci – con le sue reti – unificò nell’entusiasmo un’Italia in cui soffiava in quegli anni il vento della secessione nordista, propagandato dalla Lega Lombarda di Umberto Bossi.
Da allora una carriera in ascesa, prima alla Juve e poi all’Inter, per concluderla in Giappone dove ancora è ricordato come un grande idolo delle folle sportive.
Anche a Foggia lo ricordiamo. Non è un bel ricordo, ma certo non per colpa sua. All’esordio in A, a fine estate del 91’, il Foggia di Zeman gioca la prima casalinga al San Nicola di Bari, dopo un inaspettato e ben augurante pareggio a Milano con l’Inter di D’Arrigo. Ai rossoneri viene negato un rigore. Schillaci invece timbra lo 0-1 per i bianconeri al 47º con un gol in evidente fuorigioco, non segnalato dall’arbitro Lanese e dai suoi assistenti.
Finita la carriera Totò Schillaci torna nella sua amata Sicilia in silenzio, con riservatezza, com’è stata riservata la sua carriera sportiva. Una sola eccezione. Proprio per esorcizzare la malattia che sperava di aver sconfitto, partecipa all’edizione 2023 di Pechino Express in coppia con la moglie Barbara, dando dimostrazione di tutta la sua semplicità e umanità. Una malattia che purtroppo si ripresenta più terribile che mai e alla quale si è arreso solo la scorsa notte, nella sua Palermo, dov’era nato 59 anni fa, anche se sarà Messina la città che lo lancerà nel calcio che conta, e che oggi lo piange insieme a Palermo, come tutta la Sicilia, come tutta l’Italia.
Lascia tre figli, Jessica, Mattia e Nicole, oltre all’inconsolabile moglie Barbara, ma lascia orfani un po’ tutti quei tifosi italiani che lo ricordano correre per il campo a braccia larghe e occhi spalancati, ebbro di gioia – quasi incredulo – dopo l’ennesimo gol in quel mondiale casalingo sfortunato.
Ma questa morte prematura non è l’unica di un campione della nazionale. Prima Paolo Rossi, poi Gianluca Vialli, tutti e due compagni di Totò nella Juve, ci hanno recentemente lasciato, anche loro stroncati da un tumore. Sarà un caso certamente, ma come non ricordare le battaglie di Zeman nel 1998, che tanto scandalizzarono proprio Vialli e la Juve, che denunciava un uso improprio di farmaci nelle società calcistiche. E come non ricordare 34 ex calciatori finiti dalla SLA, Bogonovo su tutti, e tanti casi sospetti di morti inaspettate. A Foggia piangiamo Mancini, List e Stimfl, per esempio, deceduti ancora nel pieno degli anni. Ma la lista sarebbe lunga, e a quella andrebbe aggiunta quella di ragazzi morti addirittura sul campo o a carriera in corso, come Taccola, Curi, Morosini e Astori, per citare i più noti nei campionati professionistici.
Zeman perse la sua battaglia nei tribunali, probabilmente lì la sua carriera si chiuse al grande calcio, che lo percepì come un corpo esteaneo, non allineato. Ma non nei cuori dei tifosi di qualsiasi squadra, che ancora oggi riconoscono in lui non solo il simbolo del calcio spettacolo, ma anche quello di un calcio sano e pulito.
Addio Totò, ognuno segue il suo destino, e il tuo purtroppo era questo. Ma nessuno muore davvero fino a che resta nel cuore e nella mente di chi vive. I gol e l’allegria che ci hai regalato in quell’estate di fin de siècle non saranno come parole scritte sulla sabbia.
In alto, Schillaci in una recente foto con la nostra Flora Baldi