L’opinione. La norma truffa

Nel 1953, Alcide De Gasperi, ma non solo lui, nel tentativo di dare stabilità ai Governi a seguito delle elezioni politiche che la Costituzione volle decisamente ad indirizzo proporzionale puro (venivamo da una durissima dittatura e i costituzionalisti scrissero la Legge Fondamentale dello Stato proprio per scongiurare qualsiasi tentativo di monopolismo al potere), promulgando la legge n. 148 del 31 marzo 1953, stabilì un premio di maggioranza parlamentare (il 65%) al partito o alla coalizione che avesse raggiunto il 51% dei voti popolari. Le polemiche furono feroci. Piero Calamandrei, ma non solo lui, padre storico della nostra Costituzione, osteggiò quella legge sin dall’inizio, considerandola una truffa nei confronti degli elettori e in dissonanza con i dettati di rappresentanza parlamentare, che erano e dovevano rimanere strettamente proporzionali al consenso dei cittadini.

Di fatto quella legge non venne mai applicata. Per un pugno di voti De Gasperi, la DC e la sua coalizione, non raggiunsero il 51% in quella tornata elettorale. Solo un anno dopo, nel 1954, quella che la storia ricorderà come la “Legge Truffa”, venne abolita nonostante fosse stata ideata ed approvata dal partito di maggioranza relativa della neonata Repubblica e dall’uomo politico più amato, carismatico e potente del secondo dopoguerra.

Non basta essere forti e potenti per imporre a tutti leggi ingiuste. Ma se uomini della cultura e della lungimiranza di Calamandrei, pur se membri di partiti di minoranza come Unione Popolare, non avessero vigilato e condotto l’opinione pubblica sulle proprie ragioni e posizioni, quella Legge sarebbe rimasta, e sarebbe forse cambiato il destino della nostra democrazia.

Probabilmente il paragone è ardito, anzi lo è di sicuro, ma quando tre anni fa, con un colpo di mano, la Lega di serie B, con la complice connivenza dei vertici federali, fece passare il famigerato comma 5 dell’articolo 49 delle NOIF, che assicurava alle squadre retrocesse dal suo campionato il diritto esclusivo a subentrare a qualsiasi squadra non si fosse potuta iscrivere al torneo successivo, ci fosse stato qualcuno che avesse gridato allo scandalo, in primis il Presidente della Lega di serie C e soprattutto almeno uno dei 60 Presidenti dei club di Lega Pro da lui rappresentati, quel comma e quella norma che, ci perdonino i cultori di Scienze Politiche, potremmo tranquillamente definire la “Norma Truffa”, non sarebbe mai stata approvata e oggi, escluso il Lecco dalla promozione, nessuno avrebbe gridato allo scandalo se il suo posto fra le quattro promosse direttamente in serie B, come sancito dal  comma 1 lettera I dello stesso articolo, l’avesse preso – sic et simpliciter – la squadra perdente dei Play Off, dunque il Foggia.

Sin dai tempi del leggendario Dorando Petri (Olimpiadi di Londra del 1908), se il primo viene squalificato, il suo alloro passa tout court al secondo, per una legge “naturale” dello sport, delle competizioni in generale. Una legge non scritta, basata sulla logica, la morale, la meritocrazia. Petri avrebbe meritato (lui sì) la medaglia d’oro in quella maratona olimpica, condotta in testa con fatica e abnegazione immensa. A pochi metri dal traguardo svenne a terra. Fu aiutato a rialzarsi. Tagliò per primo il traguardo, ma perse tutto. La medaglia d’oro la vinse chi arrivò secondo senza cadere, senza aiuti. Persino la Regina Alessandra ne ebbe pena e protestò. Ma non ci fu nulla da fare. Dura lex sed lex. Dorando passò alla storia, la Regina gli regalò una coppa, e anche se nessuno ricorderà mai il nome di chi vinse quella maratona e quell’oro (tale John Hayes, degli Stati Uniti) il maratoneta di Correggio tornò in Italia a mani vuote.

Di esempi simili ne potremmo fare tanti. Anche meno nobili.

A Seul, nel 1988, la finale più attesa, quella dei 100 metri piani maschile, fu vinta dal canadese Ben Johnson con il nuovo strepitoso record di 9’76”. Notorietà e fama mondiale durarono davvero poco. Scoperto positivo a un anabolizzante l’oro fu dato al secondo, Carl Lewis, il “figlio del vento”, che gli era arrivato dietro di quasi tre metri in 9’92”.

È questa la legge non scritta dello sport. Se il primo è squalificato, per qualsivoglia ragione, vince il secondo, e questo dai tempi di Pericle ad Atene.

Inutile allora ricordare lo scudetto tolto per lo scandalo “calciopoli” alla Juve e dato all’Inter, seconda in campionato nel 2006 o, notizia di queste ore, l’Uefa che ammette la Fiorentina in Conference League, arrivata in classifica subito dietro “all’avente diritto” pluriscudettata formazione torinese, esclusa e punita per le note irregolarità contabili, pur avendo guadagnato sul campo quella partecipazione. E questo perché sta scritto che al calcio italiano quel posto spetta, senza andare a cercare altre cervellotiche e antisportive soluzioni alternative. Altrettanto inutile ricordare che nel 2014/15, escluso il Teramo per una “combine” dalla promozione in B, vincitore del suo girone di Lega Pro, in cadetteria ci andò l’Ascoli, che in quel campionato fu preceduto solo dalla squadra abruzzese.

Ebbene, tutto questo è sempre stato scontato, accettato da tutti, nei secoli dei secoli, persino quando si giocava alla pallacorda negli atri dei monasteri italiani e francesi del XIII secolo.

Scontato sì, tuttavia non per i parrucconi dei Palazzi del calcio italiano che, aggiungendo un comma, il quinto, all’articolo 49 delle Norme che regolano il calcio professionistico in Italia, hanno voluto sovvertire una regola immutata nel tempo, garantendo privilegi “di casta” non a chi vince, a chi merita, ma a chi perde.

Sembra una burla, uno scherzo di carnevale, ma così non è. In un colpo solo “gli strateghi” che hanno introdotto le regole di riammissione al campionato cadetto, non solo hanno disatteso quello che il solito articolo 49 sancisce al comma 1 lettera I (scritto sempre, e in modo chiarissimo e inequivocabile, da loro stessi) e cioè che dalla serie C, come sempre accaduto, qualcuno deve pur essere promosso se vince, nella fattispecie le tre prime dei gironi e la vincente dei Play Off, ma hanno preteso, dimenticandosi “a sommo studio” di questo comma che, se per qualsivoglia ragione una delle quattro promosse dalla C venisse meno per inottemperanza alle disposizioni sulle Licenze Nazionali alla possibilità d’iscriversi alla B, il suo posto non venga preso da quella arrivata immediatamente dietro nel girone o nei Play Off, ma dalle prime quattro retrocesse a scalare secondo la loro posizione in classifica.

In pratica, sic stantibus rebus, se nessuna delle quattro promosse dalla C avesse i requisiti richiesti, potrebbe succedere, oggi come domani, che i campionati di C e i loro Play Off si siano giocati quasi per scherzo, senza alcuna premialità, con lo stesso valore di partite fra scapoli e ammogliati, il tutto a vantaggio di chi è arrivato quartultimo, terzultimo , penultimo o addirittura ultimissimo in seconda serie, alla faccia di qualsiasi diritto delle società di Lega Pro, dei calciatori, dei loro tifosi, dello stesso spirito sportivo universalmente riconosciuto.

Detto che, letti e riletti sia il comma 1 che il comma 5 dell’articolo 49, chi scrive non è affatto convinto che l’interpretazione fornita da tutti  (cominciando dagli stessi mass media nazionali) sia quella data in questi giorni dal Consiglio Federale e dal Collegio di Garanzia (e cioè che le quattro promozioni ci sono state comunque, anche se il Lecco ad oggi non è ammesso a passare in Lega B, dunque la “vacanza”   andrebbe ricostituita con le riammissioni), quello che lascia letteralmente senza parole è che nessuno si sia stracciato le vesti, si sia scandalizzato, abbia fatto una levata di scudi per una norma che definire “truffa” è probabilmente un delicato eufemismo.

Può essere che all’atto della sua promulgazione nessuno ci avesse fatto caso  all’incongruenza di questo comma 5 (mai era successo, e forse mai si pensava che una neopromossa dalla C non avesse avuto i requisiti per iscriversi al campionato maggiore), però una volta scoperta col “caso Lecco” la colossale magagna nessuno, e sottolineo nessuno, ha scritto una riga che denunciasse una situazione tanto iniqua e paradossale da rendere non più credibile l’intero sistema del calcio italiano.

Molto timidamente, in verità, qualcuno ha fatto notare che, fuori il Lecco, sarebbe stato giusto dare alla seconda dei Play Off quella “promozione diretta” scritta a caratteri cubitali nei regolamenti, ma nessuno che abbia esplicitamente denunciato che quel famigerato comma sulle riammissioni era ed è un colossale imbroglio ai danni di 60 squadre che, al contrario delle 40 privilegiate dei due campionati maggiori, devono fare sacrifici economici enormi (spesso salti mortali) per partecipare ai tornei di terza serie, con poche entrate pubblicitarie, stadi spesso quasi deserti e le “elemosine” ricevute dai diritti televisivi e dalle mutualità, senza avere neppure la certezza di arrivare all’agognato passaggio di categoria, o meglio la tutela che, al di là del diritto legale d’ammissione al campionato superiore delle 4 squadre vincenti, qualcuno arrivato subito dietro, se del caso, ne possa giustamente prendere il posto.

Tutti i giornali e le TV nazionali invece si sono portati al capezzale del “derelitto” Lecco. La vera vittima, per l’opinione pubblica, di un’ingiusta esclusione dalla serie B avendo conquistato sul campo (si fa per dire – aggiungiamo noi) quel diritto perso solo per non aver rispettato le perentorie date di presentazione dei requisiti infrastrutturali (la mezzanotte del 20 giugno), secondo una regola ferrea e inderogabile per tutte le società, regola voluta fortemente dalla stessa Federazione e della quale il Lecco era perfettamente e per tempo a conoscenza.

Il Lecco è stato escluso dal Collegio di Garanzia del Coni per colpe proprie, non altrui, per proprie colpevoli mancanze, non faccia dunque la vittima il suo colpevole Presidente. La FIGC, invece d’interrogarsi sull’enorme ingiustizia che oggi vorrebbe il Perugia (una retrocessa) prenderne il suo posto in B piuttosto che la più meritevole squadra del campionato inferiore, garantendo le famose 4 promozioni dirette previste, si schiera (sull’onda emozionale abilmente “pilotata” dai media nazionali e locali) al fianco del Lecco contro il parere del CONI e insieme – udite, udite – alle altre 18 squadre di serie B, tutte compatte e solidali nel salvaguardare le proprie ragioni corporativistiche, nel più paradossale e farsesco ricorso al TAR che la storia del calcio italiano ricordi, dove la FIGC ricorrerà nei fatti contro se stessa e le sue stesse regole, chiaro sintomo di un calcio malato la cui credibilità è sempre più in caduta libera.

A ricorrere al TAR del Lazio per tutelare le proprie ragioni ci sarà ovviamente anche il Foggia, che una “Norma Truffa” vorrebbe fuori dai giochi di un’eventuale promozione “meritata” per essere arrivata seconda nei Play Off dietro al Lecco.

Staremo a vedere se la Giustizia Ordinaria porrà rimedio e indicherà una strada più equa e sportiva al legislatore e agli Organi Federali del calcio. Non solo nell’interesse del Foggia, malcapitato e involontario attore di cotanto scempio, ma per tutelare nel futuro le squadre e i tifosi tutti partecipanti ad un campionato duro e complicato come quello di serie C, che quella norma, quel comma così come concepito, ingiustamente e antisportivamente, umilia e ridimensiona a vantaggio delle ricche e privilegiate Leghe di serie superiore.

 Il direttore

Francesco Bacchieri

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