Deve essersi trattato di un equivoco, un banale, maledetto, equivoco.
Sentivamo dire che nel calcio moderno non si può prescindere dalla costruzione dal basso e noi, ingenui, a
discettare sulle doti pedatorie del portiere, sulle capacità di palleggio degli esterni bassi, sulla visione di gioco dei centrali.
Ci siamo persi appresso agli schemi, alle difese a quattro, a quelle a tre, al centrocampo che non filtra quando difende e non imposta quando costruisce.
Invece no: non era del campo che si stava parlando.
Quel “dal basso” non era riferito alle rimesse dal fondo, alla ripresa del gioco.
Nossignori, non si pensava a questo ma a ben altro.
Quell’invito a costruire dal basso doveva riguardare la classifica, non il terreno di gioco.
Ecco perché ci troviamo a parlare di una squadra avvinghiata all’ultimo posto utile per salvare la categoria dopo aver illuso la piazza in una notte di giugno.
Più in basso di così c’è il baratro, l’ignominia di una retrocessione fra i dilettanti che sul campo allo Zac non si prova dal 1952.
Vengono i brividi a ripercorrere quel pezzo di storia rossonera.
Pensate che solo l’anno prima, a Firenze, una finale persa contro lo Stabia negò al Foggia la promozione in B. Dodici mesi più tardi, complice anche una penalizzazione in classifica, i Satanelli scivolarono mestamente fra i dilettanti e vi rimasero per i sei anni seguenti.
Nessuno qui ha voglia di ripercorrere quel calvario, ma non basta la retorica buonista del “vogliamoci bene”, “stringiamoci attorno alla squadra”, “remiamo tutti dalla stessa parte” e altre banalità da libro Cuore per risolvere i problemi, fare punti e conservare la categoria.
Il giustificazionismo a oltranza ha fatto più danni della grandine.
L’illusione che essere accondiscendenti con le decisioni della proprietà fosse la strada obbligata, perché “non vi sono alternative”, sta portando al disastro.
Chi mette i soldi ha il diritto legittimo di fare delle scelte, ma chi ama questi colori ha il sacrosanto dovere di evidenziare errori ed orrori di una scellerata gestione che fa strame della nostra storia.
La critica è costruttiva quando segnala i punti di debolezza e indica delle possibili soluzioni, ma a nulla serve se va a sbattere contro un muro di permalosa presunzione di chi pervicacemente non vuole ascoltare.
Quante volte, qui e altrove, si è invitata la proprietà a dare un’organizzazione strutturata alla società, nel rispetto dei principi basilari che garantiscono il buon funzionamento di ogni azienda in qualsiasi settore: garantire professionalità ed esperienza nei ruoli chiave?
Niente di complicato, nessuna formula astrusa, ma il semplice rispetto di una regola: la persona giusta al posto giusto.
Nel Calcio Foggia 1920, a mio sommesso avviso, questo non succede.
Infatti, nonostante gli impegni economici sostenuti, i risultati non sono in linea con le aspettative.
Si spende più di altri club e si raccoglie molto meno perché nei ruoli chiave di cui sopra, Direttore Sportivo e Direttore generale in primis, abbiamo certamente delle bravissime persone, fedeli all’azienda, che godono della fiducia del Presidente, ma prive di quella indispensabile esperienza di categoria che fa la differenza nella gestione del rapporto con squadra e staff tecnico durante l’intera stagione.
Ecco cos’è una critica costruttiva: evidenziare un problema e proporre una soluzione.
In questo caso l’inserimento nelle posizioni apicali di figure che abbiano una storia, se non di successo assoluto, perlomeno di adeguato mestiere.
Il mercato di riparazione è complicato quando ci sono troppi errori a cui porre rimedio; di questo siamo coscienti tutti e persino il Presidente ha riconosciuto – evento più unico che raro – di aver sbagliato più volte.
Dobbiamo mettere in conto, quindi, che difficilmente si riuscirà a ricostruire adeguatamente una squadra nei pochi giorni che rimangono.
Proprio per questo, la gestione del gruppo che verrà fuori al termine del mercato, con tutte le inevitabili lacune, farà la differenza fra mantenere la categoria o precipitare nel baratro.
Gli esperimenti estemporanei sono falliti. Tutti!
Ne prenda atto il comandante della nave e metta da parte i sentimentalismi, adottando da subito provvedimenti seri, da capitano d’impresa, e rafforzi la struttura almeno in quei punti in cui è debole.
Fra tre mesi sarà troppo tardi per ammettere nuovamente di aver sbagliato e non ci consolerà affatto poter dire che, ancora una volta, qui lo avevamo detto per tempo.