Il calcio non è una scienza esatta, ma neppure può essere scambiato per l’apoteosi dell’improvvisazione.
In questi ultimi tre mesi, fra quel lontanissimo 2 a 0 al Brindisi del 14 ottobre scorso e la glaciale – in tutti i sensi – nottata di sabato contro l’Avellino che ha maramaldeggiato allo Zac, abbiamo toccato con mano quale sia il prezzo che da pagare se non si seguono dei basilari principi di buona organizzazione in una impresa.
Uno degli effetti collaterali della mancanza di un Ds con esperienza e carisma è stato l’ammutinamento dello spogliatoio contro il proprio tecnico.
L’agguato teso con successo a Somma in primavera deve aver convinto i novelli Masaniello di via Gioberti a riproporre lo schema già sperimentato anche con Cudini, probabilmente reo di non aver dato sufficiente spazio a qualche senatore durante quelle sette giornate di gloria che avevano illuso la piazza.
Tuttavia, questa volta la presunzione dei rivoltosi si è spinta al punto di pensare di poter guidare loro stessi, direttamente e senza nocchiero, la nave di cui devono essersi sentiti padroni assoluti.
Un delirio di onnipotenza che ha portato al disastroso naufragio di queste ultime, sciagurate, partite.
Senza una guida tecnica d’esperienza, la folle idea di mettere in campo una squadra tentando di seguire i consigli telefonici di un allenatore all’estero (lui sì che si può definire tale), ha avuto lo stesso effetto che sortirebbe un infermiere che volesse operare un paziente dopo una ricerca su Google.
La discesa verticale dal secondo posto all’ultimo gradino prima dei playout è tutta racchiusa in questa sconsiderata ricerca di originalità a tutti i costi.
Bisogna rimettere le cose a posto.
Non c’è tempo per fare altri esperimenti, altre geniali intuizioni destinate a soccombere dinanzi alla concretezza dell’avversario di turno.
È ora di avere un allenatore in panchina, di ripulire lo spogliatoio dalle scorie velenose che ne hanno distrutto l’armonia, di tornare con i piedi per terra a fare calcio in maniera semplice, comprensibile, coerente con l’unico obiettivo rimasto: mantenere la categoria.
La partita di sabato è stata un suicidio tattico, ma la responsabilità non è da attribuire solo all’ex allenatore in seconda di un inesistente titolare, quanto a tutti coloro che hanno avuto bisogno di tre cocenti sconfitte per decidere che sia il caso di ridare a un vero Mister la guida tecnica della squadra.
Se anche dovesse essere lo stesso Cudini a prendere nuovamente questa responsabilità, non si potrà prescindere da un’adeguata epurazione di quegli elementi che ne hanno sabotato l’azione portando al suo allontanamento.
La gente di Foggia non merita altre umiliazioni.