Le pallavoliste azzurre di Velasco regalano all’Italia la dodicesima medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi 2024, battendo le americane (olimpioniche di Tokyo) con un nettissimo 3-0 e regalando al movimento pallavolistico italiano maschile e femminile, sicuramente fra i primi al mondo, uno storico trionfo: l’unico alloro che non avevamo in bacheca nonostante in quasi tutte l’edizioni olimpiche dell’ultimo quarto di secolo fossimo sempre entrati da favoriti, rimediando però “solo” 3 argenti e 3 bronzi (sempre al maschile).
Ma riavvolgiamo il nastro. Tutto comincia a Roma, ai Mondiali maschili del 1978. La pallavolo è sicuramente una disciplina a squadre minore, oscurata in Italia dal calcio e dal basket, ma i “ragazzi di Pittera”, capitanati da Dall’Oglio, piano piano acquistano spettatori e interesse in TV, fino a conquistare un’insperata finale contro lo squadrone sovietico, che ci batte ma non batte un entusiasmo che da lì crescerà portando questo sport sugli allori europei e mondiali non solo fra gli uomini, ma anche fra le donne. Diventeranno familiari nomi di CT e giocatori e giocatrici, da Velasco a Bonitta, da Mazzanti a De Giorgi e poi i “mitici” pallavolisti Zorzi, Giani, Bernardi, Papi e Lucchetta fra gli uomini, e le “mitiche” pallavoliste Piccinini, Cacciatori, Togut e Lo Bianco fra le donne, tutti fregiati da titoli mondiali ed europei a ripetizione, ma nessuno che fosse riuscito a salire sul gradino più alto del podio della regina di tutte le manifestazioni sportive, pur essendoci stati vicinissimi (per 3 volte la Nazionale uomini).
Sembrava stregato questo titolo, e la responsabilità di doverlo conquistare questo oro è spesso costata al volley nazionale l’amarezza di vedersi superare in semifinale o in finale (se non prima) da formazioni spesso meno accreditate. Rimarrà nella storia la finale maschile di Atlanta, nel 1996, quando forse la squadra più forte di sempre di questo sport, la Nazionale del “dream team” di Julio Velasco CT e di Zorzi, Giani, Bernardi, Gardini, Papi e Sartoretti, si fece incredibilmente beffare dall’Olanda all’ultimo punto del set decisivo, battuti dall’ansia, non dagli avversari.
E la stessa ansia ci ha fatto perdere altre due finali olimpiche col Brasile, anche se in maniera meno amara (non eravamo i più forti in quelle due occasioni), ma inaugurando una sorta di “maledizione olimpica” che si è ripetuta in questa edizione con i Campioni del Mondo in carica di Fefè De Giorgi e Simone Giannelli, ancora una volta partiti favoriti, ancora una volta finiti addirittura fuori dal podio prima congelati dalla tensione nell’incontro miracolosamente vinto col Giappone nei quarti, poi massacrati dalla Francia in semifinale, senza aver saputo opporre nulla ai pur fortissimi transalpini di Ngapeth (poi meritatissimo oro in finale).
Ma anche i record negativi sono fatti per essere superati. Nello sport non esistono le “maledizioni”. Le sconfitte hanno sempre delle motivazioni, così come le vittorie. E le ragazze di Velasco, passato dopo anni e anni e da quell’amarissima delusione dell’argento di Atlanta a guidare una Nazionale azzurra, questa volta con le ragazze, hanno dimostrato che si può vincere anche da favorite se si scende in campo senza paure e condizionamenti. Mai le azzurre, pur essendo state nel tempo Campionesse Mondiali ed Europee più volte, erano nella loro storia riuscite ad andare oltre ai quarti di finale in un torneo olimpico. A Parigi ci arrivavano dunque non avendo nulla da perdere o da dimostrare, pur essendo le favorite nonostante il bronzo mondiale, perchè se in campo hai la miglior giocatrice del pianeta, Paola Egonu da Cittadella (pur se da genitori nigeriani), schiacciatrice opposta implacabile, e altre fra le migliori pallavoliste mondiali ruolo per ruolo, non puoi che essere favorita. Ma essere favorite non basta. Soprattutto alle Olimpiadi. Lì tutte le avversarie sai che daranno il 110% sempre rispetto a una qualsiasi altra gara. Lì sai che l’emozione può giocarti brutti scherzi. “Only the brave” riescono a confermarsi alla prova dei fatti, e le “nostre” ragazze il cuore oltre l’ostacolo l’hanno gettato per davvero, perdendo solo 1 set sui 18 disputati (record), giocando con una determinazione inusitata soprattutto la gara più difficile, la finale appunto, dove non hanno concesso nulla alle pur fortissime avversarie a stelle e strisce. E allora ricordiamo chi sono queste meravigliose ragazze. Detto della Egonu, inutile dirlo la miglior realizzatrice, come non citare la capitana Anna Danesi, implacabile a muro come la compagna Sarah Luisa Fahr, la palermitana di origine ivoriane Myriam Sylla, motivatrice del gruppo, la palleggiatrice Alessia Orro, regista, il libero Monica De Gennaro, dai recuperi impossibili, per non dimenticare Caterina Bosetti, altro fenomeno di questa fantastica generazione di giocatrici incredibili. Ma non solo loro. La forza di questa Nazionale sta anche e soprattutto nella panchina, dove ragazze come l’Andropova o la Giovannini o la Cambi o la Lubian non hanno nulla da invidiare alle compagne, anzi, il loro contributo è stato determinante nei cambi strategici per arrivare al traguardo più sognato ed agognato.
Sfatato il tabù non possiamo che augurarci che la prossima volta anche agli uomini tocchi questo riconoscimento. Abbiamo al maschile una squadra giovane e di grandissima qualità, seconda a nessuno, che ha in Michieletto la sua stella di prima grandezza e che speriamo avrà imparato dalle colleghe donne come si fa a vincere un Olimpiade “nonostante” si sia i più forti.