Denaro o visione? Le scelte che fanno la differenza.

Nel mondo dello sport professionistico c’è una tentazione irresistibile che affascina proprietari e dirigenti: investire denaro, tanto denaro, per assicurarsi i migliori giocatori sul mercato, sperando di creare una squadra vincente da un giorno all’altro. È la strada più facile, e a volte la più rapida. Ma è davvero quella che costruisce una dinastia duratura, una squadra vincente? O vi è qualcosa di più potente della semplice somma di talenti, o di quattrini?

È indubbio che avere risorse economiche consenta di muoversi rapidamente e acquistare i migliori giocatori, quelli in grado di cambiare il volto di una squadra in una sola stagione. Nella NBA ci sono molto esempi di “Super Team” costruiti su questo modello. Il caso più recente è quello dei Brooklyn Nets. Con l’acquisizione di stelle come Kevin Durant, Kyrie Irving e James Harden, superstar arrivate attraverso scambi ultramilionari, al di là del ponte sembrava fossero destinati a dominare per almeno un decennio, la “Grande Mela” e l’intera NBA. Eppure quella squadra, nonostante le aspettative, non raggiunse mai l’obiettivo prefissato.

Il problema? Puntare tutto sull’immediato può portare ad un successo effimero. I giocatori arrivano con la pressione di vincere subito, ma senza una visione sul lungo termine, senza una cultura di squadra già consolidata. Schiacciati dal peso della promessa del successo immediato, del cambiamento radicale e da quell’entusiasmo dei fan che rischia di diventare rapidamente disillusione.

Di storie che vanno controcorrente ne potrei raccontare diverse, ma una in particolare dimostra che non sono sempre i soldi a fare la differenza: stiamo parlando dei Golden State Warriors. Squadra che ha dominato la NBA degli anni 2010 non grazie a spese folli e annunci roboanti, ma grazie alla lungimiranza degli scout, alla bravura degli allenatori e alla straordinaria visione e professionalità di chi ha saputo costruire un gruppo vincente.

Per anni la franchigia di San Francisco è stata ai margini della NBA, una squadra anonima che non sembrava destinata a lasciare nessun segno. Tutto è cambiato con una serie di scelte coraggiose e apparentemente controverse, il più delle volte non condivise da esperti ai lavori e tifosi.

La prima è stata quella di puntare su un giovane con problemi cronici alle caviglie: Stephen Curry.
Uscito dal college, era il 2009, non era considerato un futuro MVP. Non aveva innanzitutto la fisicità, ma aveva una visione di gioco e una capacità di tiro fuori dal comune. Tuttavia le squadre migliori della lega lo scartarono. La storia ci ha detto che è diventato il migliore tiratore di sempre da 3 punti della NBA. La settima scelta di quel draft è diventata una delle più iconiche della storia.
Nel 2011 un’altra scelta rischiosa: un altro tiratore. Né un nome altisonante, nemmeno uno che impressionava così tanto sul parquet. Scelta che aggiungeva però un altro pezzo al puzzle che i Golden stavano costruendo e che si rivelò perfetto per il sistema di gioco, micidiale, basato sul tiro da fuori che “l’area tecnica” aveva in mente: Klay Thompson.
Arriviamo al 2012. E qui forse il vero capolavoro della dirigenza. Serviva il cuore! E lo trovarono in un giocatore né veloce né particolarmente atletico: Draymond Green. Giocatore che divenne colonna difensiva e strategica e che più di tutti incarnava la visione che i Golden State Warriors avevano: scovare e sviluppare giocatori che si adattassero perfettamente alla loro filosofia di gioco.

Altro “azzardo”? Era il 2014 e decisero di affidare la squadra ad un allenatore che non aveva mai allenato in NBA. Avrebbero potuto scegliere un allenatore con un curriculum già consolidato, ma hanno preferito affidare le sorti della franchigia ad un certo Steve Kerr, oggi fresco vincitore alle Olimpiadi di Parigi con il suo Dream Team USA.
I più lo ricordavano come “gregario” nella squadra dei sogni di Jordan, Pippen e Rodman, gli invicibili Chicago Bulls. Altra scommessa vinta. Kerr massimizzò le capacità di tutti i suoi giocatori, rendendo tutti protagonisti, sviluppando lo stile di gioco, basato sul movimento di palla e sul tiro da 3 punti.

Tutte scommesse fortunate? O un approccio basato sulla costruzione del successo?
I Warriors hanno costruito una dinastia con pazienza ed intelligenza, sviluppando il loro talento dall’interno e investendo nelle persone giuste, non solo sui giocatori giusti.
L’arrivo di Kevin Durant, la “stella”, forse l’attaccante più forte della lega, non ha rappresentato la chiave del loro successo. I Warriors avevano già vinto un titolo NBA (2015) e stabilito il miglior record della storia NBA (79 vittorie e 9 sconfitte nel 2016). Titoli frutto di scelte che non si sono mai piegate alle logiche del mercato e alle pressioni dell’ambiente, ma che hanno mantenuto la loro visione nel lungo periodo.
I Warriors hanno vinto non perché hanno speso di più. Semplicemente hanno pensato meglio.

Qui di seguito trovate sette minuti di adrenalina allo stato puro. Ventiquattro delle giocate più entusiasmanti di questi “guerrieri dorati”.

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